La sua battaglia non è stata semplice.
All’inizio arrivavano solo attacchi.
Più Christian parlava, più si esponeva, più la rabbia si alzava intorno a lui.
Veniva minacciato, offeso, criticato, deriso.
Gli dicevano di stare zitto, che non ne valeva la pena.
Lo giudicavano solo perché aveva avuto il coraggio di metterci la faccia.
Solo perché non mollava.
Solo perché stava cercando di far capire che questa era una guerra tra poveri, dove nessuno vince e tutti perdono.
Lui però non ha ceduto.
Non ha mai smesso di parlare, di spiegare, di mostrare cosa vuol dire essere un lavoratore che si spezza la schiena ogni giorno.
Ha resistito agli attacchi perché sapeva che dietro quella rabbia c’era ignoranza, superficialità o frustrazione.
Poi qualcosa è cambiato.
A poco a poco, la gente ha iniziato a vedere l’uomo dietro alla storia.
Dal fumo delle critiche sono iniziate a emergere stime, complimenti, abbracci sinceri.
La gente ha iniziato a dirgli:
“Ti voglio bene Christian", “Continua così”, “Non mollare”.
Hanno visto in lui la forza di chi non si arrende.
La volontà di combattere non per vendetta, ma per giustizia.
Di trasformare un torto subito in un messaggio per tutti.